Bacco Altoviti

- N. inventario: SC166
- Autore: Scultore romano
- Datazione: Torso: II secolo d.C.; Testa: seconda metà del II secolo d.C.; Rilavorazioni del XVIII secolo
- Materiale: marmo pentelico, marmo di Foresto, marmo greco a grana media, marmo lunense veneto, badiglio veneto
- Dimensioni: 80 x 225 x 60 cm
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Si tratta di una figura più grande del vero, il braccio destro sollevato a reggere un grappolo d’uva e la mano sinistra che porge una coppa da cui emergono degli acini in mezzo a foglie di vite. La posa è rilassata, con la gamba destra stesa e la gamba sinistra flessa, bilanciata. Il volto squadrato, così fiero, è incorniciato da una fluente capigliatura a riccioli divisa da una scriminatura centrale e trattenuta da una benda nella parte alta della fronte, abbellita con grappoli d’uva, foglie di vite e foglie d’edera.
La statua rimanda a modelli artistici ben noti nell’arte ellenistica di IV secolo a.C.: la posa “abbandonata” rinvia alla scuola di Eufranore, il modellato morbido quasi “femmineo” e la silhouette richiamano l’Apollo Liceo prassitelico, la flessione del torso e la posa delle gambe dipendono dal Satiro versante, un altro modello prassitelico noto da numerose repliche romane. Infine, la testa: essa rimanda ad una immagine giovanile del Dioniso prassitelico. Il sapiente uso del trapano visibile nella lavorazione delle foglie di vite e dei capelli, si data alla seconda metà del II secolo d.C., in età antonina.
Evidenti restauri che si sono susseguiti nel corso dei secoli hanno trasformato l’originale fisionomia della statua: la prima testimonianza nota del nostro Bacco, ovvero un disegno del pittore cinquecentesco fiorentino Andrea Boscoli, identifica il dio affiancato ad una pantera con la zampa destra sollevata ed avente la mano sinistra a reggere un grappolo d’uva e quella destra una brocca (oinochoe). Già nel corso del Cinquecento, e precedentemente al disegno del Boscoli, l’anonimo restauratore ha assecondato in maniera corretta la muscolatura del petto, ma sembra aver sbagliato la postura del braccio destro e riempito il vuoto risultante con un grappolo d’uva. Entro il 1682, invece, si data un ulteriore restauro che ha “eliminato” la pantera e il grappolo d’uva nella mano sinistra, rimpiazzandolo con la coppa precedentemente citata.
Prima di confluire nella collezione Accorsi-Ometto, la statua ha arricchito, con la sua presenza, luoghi celeberrimi: la villa fuori porta nei Prati di Castello e il Palazzo Altoviti, entrambi di proprietà della omonima famiglia romana cinquecentesca, nonché il casino di caccia del Viboccone e il palazzo di San Giovanni dei Savoia (sotto il regno di Carlo Emanuele I) .