Stele funeraria

- N. inventario: SC145
- Autore: Scultore romano
- Datazione: prima metà del II secolo d.C.
- Materiale: marmo lunense
- Dimensioni: 28,8 x 77 x 14 cm
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La stele funeraria proviene dal territorio di Chieri, l’antica Carreum Potentia, l’unico centro urbano – assieme ad Augusta Taurinorum – del comprensorio celto-ligure prima, romano poi.
La stele rettangolare raffigura, nella parte superiore lavorata a nicchia, la figura del defunto, un busto di giovane vestito con la tunica. La parte inferiore, come di consueto nelle epigrafi romane, riporta il testo, con una invocazione agli Dei Mani (spiriti del morto divinizzato):
d(is) m(anibus)
m.alboni
callistini
albonia
epagatho
filio piissim(o)
et alboniae
cale
patronae
optim(ae) et sibi
[Agli Dei Mani di M(arco) Albonio Callistino. Albonia Epagatho (fece erigere questa stele) per il figlio piissimo, per l’ottima patrona Albonia Cale e per se stessa].
La stele, ricordata anche da Carlo Promis nel 1877 e poi confluita nel CIL – Corpus Inscriptionum Latinarum – venne dedicata da una madre di nazionalità greca al figlio morto prematuramente e alla patrona. La tipologia funeraria trova confronti nel repertorio epigrafico piemontese, come dimostrano la stele – purtroppo illeggibile – da Cherasco e quella di un L. Tutilius Secundinus da San Ponso Canavese.
La forma abbreviata D. M. è documentata almeno dalla metà del I secolo d.C. ed in ambito subalpino sembra comparire più tardi. Anche la grafia della lettera “P”, con l’occhiello aperto, non consente di abbassare troppo la datazione, che potrebbe rimandare ai primi decenni del II secolo d.C. A questo stesso periodo cronologico sembrano riportare anche la presenza della barba corta e la tipologia di pettinatura del defunto: infatti, in età adrianea (117-138 d.C.) l’abitudine di radersi scomparve e in quella traianea gli uomini “copiarono” la moda dettata dall’imperatore.
Una curiosità: la resa della lettera “T”, con l’asticella orizzontale che sovrasta la linea immaginaria entro cui si allineano tutte le lettere, è un espediente per comprimere il più possibile il testo e non farlo sforare oltre i “confini” imposti dal lapicida .